Il Garante regionale dei diritti della persona illustra il deludente decreto legge Nordio sul sistema carcerario

04.07.2024
Redazione

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il 3 luglio, su proposta del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, un decreto legge recante misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della Giustizia.

Nell’attesa della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ne scorriamo una bozza.
A fronte del sovraffollamento carcerario (61.480 detenuti su una capienza di 51.234), altamente significativo anche nella nostra Regione (711 detenuti su una capienza di 484 pari al 146,9%), e dell’elevato numero di suicidi (51 dall’inizio dell’anno), si attendeva un accoglimento delle pressanti proposte da parte della Conferenza Nazionale di Garanti delle persone private della libertà personale, dei professori di diritto penale, degli studiosi del processo penale e dei costituzionalisti, tese ad introdurre la c.d. liberazione anticipata speciale, ossia lo sconto non più dei 45 giorni di pena per ogni semestre (come previsto attualmente) per chi ha partecipato all’opera di rieducazione, ma elevato a 75 o, almeno a 60 giorni, come del resto anche da una analoga proposta di legge presentata in Parlamento.

Nulla di tutto questo. Come affermato nella successiva conferenza stampa, il Ministro ha respinto ogni provvedimento clemenziale che rappresenterebbe una sconfitta per lo Stato e la certezza della pena, limitandosi ad illustrare misure tese al rafforzamento del personale penitenziario e, a suo dire, alla umanizzazione della pena. Il tutto, tuttavia, a ben vedere, dilatato nel tempo.

Così, la decantata assunzione di 1.000 unità del Corpo di Polizia penitenziaria avverrà nel 2025 e nel 2026 per 500 unità alla volta, mentre l’assunzione di dirigenti penitenziari avverrà soprattutto con lo scorrimento delle graduatorie esistenti ed un similare scorrimento per i posti di vice commissario e vice ispettore di polizia penitenziaria.

Per quanto riguarda la liberazione anticipata, che rimane immutata nella disposizione attuale dei 45 giorni per semestre, viene previsto un procedimento ritenuto più scorrevole, che solo l’esperienza valuterà tale, ma che si dubita fortemente possa contribuire a ridurre il sovraffollamento a tempi rapidi.
Anzi: se dovesse continuare al presente ritmo ci stiamo avvicinando a grandi passi a quel limite di 11 anni or sono che ha portato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a condannare l’Italia per comportamenti “disumani e degradanti” di cui all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (la nota sentenza Torregiani).
Se dovessimo arrivare a tanto allora sì che si tratterebbe di una sconfitta dello Stato, non solo giuridica, ma politica e morale. E si ricordi che allora si era ricorsi proprio all’ampiamento della liberazione anticipata a 60 giorni, per due anni in funzione del richiesto “svuota carceri”.

Da tempo si chiedeva un aumento del numero delle telefonate da parte dei detenuti: dopo un necessario ampiamento durante il periodo del lockdown, alla fine dell’emergenza Covid, invece di mantenerlo, avendo dato risultati molto positivi, si era ritornati alla situazione precedente, solo due telefonate al mese per dieci minuti cadauna, poi portate a quattro con molta riluttanza e permettendo ai Direttori, in casi eccezionali, di aumentarne la frequenza: un caos variabile da istituto a istituto.

Ebbene il decreto non prevede la maggiore liberalizzazione, richiesta da più parti a gran voce, ma rinvia ad un Regolamento, da emanarsi entro sei mesi, per il necessario incremento (non specificato) del numero dei colloqui telefonici settimanali e mensili, ammettendo intanto un'autorizzazione in deroga ai limiti attuali, lasciata ovviamente alla discrezionalità dei Direttori.

Ma il fiore all’occhiello del decreto Nordio sembra essere l’istituzione presso il Ministero della Giustizia di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale di coloro che hanno i requisiti per accedere alla misure penali di comunità, ma che non sono in possesso di un domicilio idoneo e sono in condizioni socio-economiche non sufficienti per provvedere al loro sostentamento.
Ebbene, entro sei mesi dovrà essere emanato un decreto per definire le modalità, la disciplina, l’aggiornamento di tale elenco e, soprattutto, le caratteristiche e i requisiti di qualità dei servizi necessari per l’iscrizione. Si presume dovrà decorrere un altro ampio lasso di tempo per consentire a tali strutture residenziali ad iscriversi in tale elenco, e al relativo controllo, posto che tali strutture residenziali dovranno garantire, oltre all’accoglienza residenziale, lo svolgimento di servizi di assistenza, di riqualificazione professionale e reinserimento socio-lavorativo dei soggetti residenti, di riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti o con disagio psichico, che hanno i requisiti per accedere alle misure penali di comunità. In definitiva i tempi sono molto dilatati e sorge la forte perplessità sulla reale esistenza e consistenza di tali strutture residenziali, che, a quanto pare, dovrebbero essere finanziate dalla Cassa delle Ammende.

Insomma: nessun provvedimento immediato per la riduzione concreta del sovraffollamento e del numero dei suicidi in carcere, ma alcune norme tecniche di buoni propositi, da attuare nel tempo.